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8 Ottobre 2021La Corte di Cassazione con sentenza 28 settembre 2021, n. 27158, pubblicata il 6 ottobre 2021 ha posto alcuni principi rilevanti in tema di abuso di diritto e di rilevanza di un patto parasociale.
Muovendo dalle “sentenze a Sezioni unite del 2 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057, ha riconosciuto l’immanenza nel sistema tributario italiano del divieto di abuso del diritto divieto enucleabile in base ai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività (art. 53 Cost.)“.
Tale affermazione rappresenta il risultato di “un complesso percorso interpretativo” della stessa Corte di Cassazione sulla generale applicabilità del principio comunitario di divieto dell’abuso del diritto affermato dalla Corte di Giustizia Europea con le sentenze del 21 febbraio 2006, cause C-255/02 e C-223/03, Halifax e del 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service.
Questo ha portato “alla configurazione di un principio di divieto dell’abuso del diritto “autonomo” rispetto a quello di derivazione comunitaria, in quanto i principi di capacità contributiva e di progressività (art. 53 Cost.), renderebbero sussistente nel sistema nazionale «il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscalidall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione», affermazione che non contrasterebbe con la presenza di specifiche norme antielusive (tra cui l’art. 37-bis, d.P.R. 29/09/1973 n. 600), che vanno apprezzate come «mero sintomo dell’esistenza di una regola generale» (così, Sez. U., 23/12/2008, n. 30055)”.
Dall’esame della propria giurisprudenza tributaria, la Corte di Cassazione “ha dunque perimetrato l’ipotesi della condotta abusiva ad ogni operazione economica realizzata attraverso l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici posti in essere al solo scopo, elusivo, di realizzare un risparmio di imposta, con la conseguenza che il divieto di siffatte operazioni non opera in presenza di ragioni economicamente apprezzabili che si possano spiegare altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta“, citando la copiosa giurisprudenza in tal senso.
Il principio dell’abuso di diritto, pertanto, consiste “nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali e comporterebbe l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretende di far discendere dall’operazione elusiva (Cass. 19/2/2014, n. 3938)“.
Rispetto ai patti parasociali, invocati dal contribuente per sostenere l’esistenza di valide ragioni economiche, la Cassazione ha precisato che dopo la loro esplicita previsione legislativa con il d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (T.U.F.), i patti parasociali “rivestono la qualificazione di “contratti” e, più in particolare, rientrano nell’ampia categoria dei contratti atipici, come tali, non sono assoggettati alle norme previste dal diritto societario (cui rimangono comunque subordinati e correlati, in quanto regolamentano situazioni giuridiche originanti da tale contratto societario), bensì alle norme del codice civile che disciplinano il contratto e le obbligazioni; essi, dunque, non hanno efficacia reale ma semplicemente obbligatoria (art. 1372 cod. proc. civ.), con la conseguenza che vincolano esclusivamente i contraenti, non dispiegando effetti nei confronti dei terzi estranei alla convenzione, siano essi gli altri soci, la società o soggetti terzi, tant’è che un eventuale inadempimento rileva soltanto come fonte di responsabilità contrattuale“, per cui non possono essere invocati quali valide ragioni economiche per escludere abuso di diritto.