
Pagamento dei creditori estranei all’accordo di ristrutturazione dei debiti
23 Agosto 2021
Nullità dei contratti di mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità di cui all’art. 38, comma 2 T.U.B. e delibera CICR 22 aprile 1995, con conseguente improcedibilità dell’azione esecutiva
25 Agosto 2021Il Tribunale di Bergamo con provvedimento in data 14 luglio 2021, affronta il tema della natura liquidatoria o meno del concordato ricollegandosi espressamente all”impostazione adottata dal Tribunale di Ravenna in data 8 marzo 2021, secondo cui la pronuncia della Cassazione n. 734/2020 non è funzionale a “sdoganare” il concetto di continuità aziendale irrisoria, nel senso che possono ritenersi in continuità anche quei concordati in cui prevale nettamente la componente liquidatoria, “ma solo alla condizione che la prosecuzione dell’azienda in esercizio rilevi, in primo luogo per il quid plus che ne deriva ai creditori avuto riguardo ai maggiori flussi che detta prosecuzione assicura, in secondo luogo per la pregnanza specifica – si potrebbe dire conformante – della sua componente “qualitativa”, afferente – in via esemplificativa – la conservazione dei posti di lavoro, la tutela altrimenti preclusa degli intangibles aziendali e la salvaguardia degli effetti benefici sul tessuto sociale indotti dalla sopravvivenza di un’azienda“.
Per il Tribunale di Bergamo, pertanto, è “opportuno adottare una lettura dell’art. 186-bis che coniughi la “lettera” della prima parte del primo comma con il suo secondo periodo e – soprattutto – i commi successivi. In quest’ottica occorre valorizzare la componente quantitativa e soppesare l’incidenza della continuità nel contesto del piano e della soddisfazione offerta ai creditori“.
Sulla base di tali considerazioni nel concordato in continuità delineato dall’art. 186-bis la componente liquidatoria è chiamata di regola a rivestire una valenza marginale e recessiva, e questo si ricaverebbe dal fatto che è confinata nell’inciso di chiusura del primo comma, ed è descritta come mera possibilità/eventualità (il debitore “può”), relativamente ai soli beni non funzionali.
In tal senso deporrebbe anche il secondo comma del 186-bis che impone “un piano imperniato su un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa prevista nel piano di concordato, delle risorse finanziare necessarie e delle relative modalità di copertura“.
Questa indicazione sarebbe, quindi, “finalizzata a riscontrare che non vi sia aggravamento del passivo, ma anche che l’impresa ricavi dai flussi della continuità aziendale, vuoi le risorse idonee alla soddisfazione dei creditori, vuoi le utilità indispensabili per la prosecuzione in vita. Se la continuità non fosse qualitativamente e/o quantitativamente cruciale e non rivestisse una dimensione essenziale questa previsione risulterebbe priva di significatività.
Da ultimo può rilevarsi che la lett. b) del secondo comma esige un’attestazione di rispondenza della continuità al miglior soddisfacimento dei creditori, che da tempo sembra essersi eretto a “clausola generale” in materia concordataria, posto che oltre a costituire un criterio espresso in talune ipotesi normate (si pensi ai finanziamenti prededucibili o ai pagamenti di crediti anteriori), si connota quale componente che, accanto alla “regolazione della crisi”, finisce per integrare la causa concreta della proposta di concordato.
Il favor per la continuità aziendale, quindi l’applicazione del suo “statuto”, è sempre condizionato in concreto al miglior soddisfacimento dei creditori che ex art. 186-bis, comma 2, lett. b), il che vuol dire che il regime della continuità viene in rilievo solo qualora i risultati attesi per i creditori siano comunque superiori rispetto a quelli che di un’alternativa liquidatoria quale che sia; in caso contrario la continuità verrebbe elevata a valore-fine, anziché a valore-mezzo, attribuendo al concordato preventivo il tono di un’amministrazione straordinaria“.